Gaza - giorno 630 dall'inizio della Guerra degli Orrori. Non sarà l'ultimo, non si intravede la fine del genocidio del popolo palestinese.
Sono 630 giorni che si discute e discetta sul termine genocidio applicato ai crimini compiuti dall'esercito di Israele nei confronti dei gazawi.
Si esaminano i dettagli tecnici del concetto di genocidio, si confrontano con quello che nel gergo comune è il Genocidio per definizione, quello compiuto dai nazisti contro gli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, l'Olocausto di 8 milioni di ebrei realizzato nei campi di sterminio, il buco nero della coscienza umana a cui tutti ci riferiamo quando parliamo di genocidio.
Non ho nulla da aggiungere sulle osservazioni fatte da studiosi e intellettuali di diverse opinioni e schieramenti, non ho nessun titolo per far prevalere le mie opinioni su questo argomento.
Ma sento che la parola genocidio è quella che sgorga spontanea, senza rifletterci due volte, perchè è quella che più si presta a gridare il senso di orrore e disperazione che ci assale quando, giorno dopo giorno, assistiamo alle cronache della tragedia palestinese a Gaza.
E razionalmente quindi utilizzo la parola genocidio non al termine di disamine razionali e fronzolature intellettuali ma perché non ne trovo altre che rappresentino l'infinita sofferenza che si prova di fronte alle scene di morte, distruzione, agli stenti inenarrabili che l'esercito di Netanyahu infligge ogni ora che passa a due milioni di esseri umani rinchiusi nel campo di sterminio di Gaza, tra cumuli di macerie, polvere, rifiuti, cadaveri, bambini senza mamme, mamme senza bambini.
Pensando a quello che accade a Gaza, usiamo la parola genocidio per denunciare quello che ci appare ormai come il crimine più grande di tutti i crimini compiuti dopo l'Olocausto del secolo scorso.
Dopo l'Olocausto della seconda Guerra Mondiale, lo Stato di Israele nelle intenzioni dei fondatori sionisti doveva rappresentare la legittima aspirazione del popolo ebraico, dopo diaspore e Shoah, ad una terra che consentisse di vivere in serenità e sicurezza.
Un'impresa non facile ma nemmeno impossibile, se compiuta nello spirito della coesistenza con l'altra componente storica, la Palestina, che a sua volta avrebbe dovuto mettere da parte gli odii ancestrali e i propositi sanguinari coltivati nel nome dell'altro dio.
Dopo 80 anni di speranze e delusioni, massacri, crimini, attentati, accordi e rigurgiti fanatici, la speranza di poter vedere realizzata in un tempo ragionevole, diciamo entro un millennio, la coesistenza di due stati per due popoli, ebrei e palestinesi, è definitivamente perduta.
La quantità di odio che dal 7 ottobre 2023 in poi si è accumulato a Gaza, in Cisgiordania e in Israele è di dimensioni tali da poter pesare come mille Himalaya per i prossimi secoli a venire.
La responsabilità primaria di questo fallimento storico dell'umanità risiede nei 2 popoli protagonisti e antagonisti, ma soprattutto nel popolo ebraico, che dopo aver occupato i legittimi territori della Palestina con la guerra del 1967 non li ha mai restituiti, creando le condizioni per una escalation di odio, terrorismo e distruzione come mai prima.
Hamas e Netanyahu portano la responsabilità di aver aggravato una situazione già grave, e di aver cercato da opposte ma coincidenti posizioni l'annientamento dell'altra parte anziché la ricerca della coesistenza.
Ma quanto sta accadendo a Gaza, per mano di Israele, da quasi 2 anni è piena responsabilità del regime israeliano e del governo fanatico religioso netanista, che non si è limitato alla vendetta e alla messa in sicurezza dei propri confini dopo l'attacco terroristico di Hamas ma lo ha preso a pretesto per regolare i conti con la questione palestinese, distruggendo tutto ciò che potesse rappresentarla.
Una reazione sproporzionata che in realtà ha svelato l'obiettivo di Israele di distruggere l'idea di Palestina e quindi di generare una catena di odio ancora più grande con cui impedire qualsiasi altra soluzione che non fosse l'annientamento fisico, politico e morale dei palestinesi.
Per realizzare il suo obiettivo criminale Netanyahu ha messo in piedi una gigantesca macchina di pulizia etnica, trasformando Gaza in un campo di sterminio che compete con altri terribili paragoni della storia dell'umanità.
Gaza è un campo di sterminio, non è più un campo di battaglia ammesso che lo sia mai stato, Gaza è un campo di sterminio dove la popolazione palestinese è ridotta alla fame e all'abbrutimento per essere torturata e sterminata in una lenta agonia, sotto gli occhi del mondo immobile.
Non c'è giustificazione plausibile ai crimini che Israele sta compiendo a Gaza, c'è invece una spiegazione.
Lo sterminio dei palestinesi deve coincidere con lo sterminio dell'idea di Palestina.
Se gli abitanti di Gaza vogliono sopravvivere allo sterminio devono rinunciare a se stessi, rinunciare ad essere palestinesi che reclamano la loro terra occupata e rubata.
Gaza è un campo per lo sterminio dei palestinesi a cui gli israeliani cercano di farci assuefare.
Netanyahu vorrebbe che il mondo smettesse di inorridire di fronte ai crimini che il suo esercito compie ogni giorno a Gaza. Le accuse di antisemitismo che rivolge al 90% dell'umanità sono in realtà il tentativo di intimidire e azzittire chiunque voglia impedire e criticare lo sterminio dei palestinesi e della Palestina.
Netanyahu è un criminale di guerra e uno sterminatore di palestinesi inermi.
Esempi di cronaca quotidiana dell'orrore nel campo di sterminio creato a Gaza dagli israeliani per annientare i palestinesi
27 giugno - Un’inchiesta del quotidiano israeliano Haaretz ha raccontato come le stragi di civili palestinesi ai punti di distribuzione di cibo nella Striscia di Gaza, compiute nelle ultime settimane, siano state il risultato di precisi ordini dati dai comandanti israeliani ai loro soldati.
Sono accuse molto gravi, raccontate ad Haaretz dagli stessi soldati in forma anonima.
Le stragi sono state compiute vicino ai centri della Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), l’organizzazione voluta da Israele per controllare la distribuzione del cibo nella Striscia e usare la fame come ulteriore arma contro i palestinesi.
Un soldato ha descritto le aree intorno ai centri come «zone della morte» («killing fields», in inglese). «Quando ero stanziato lì, venivano uccise ogni giorno da una a cinque persone. Erano trattate come forze ostili, non c’erano misure di controllo della folla o gas lacrimogeni, solo spari con qualsiasi arma a disposizione», come mitragliatrici, lanciagranate e mortai.
«Quando i centri aprono i colpi si fermano. Il fuoco è la nostra forma di comunicazione».
agenzia Anadolu, 26 giugno - 76 palestinesi, tra cui bambini, donne e operatori umanitari, sono stati uccisi da attacchi aerei e colpi d'arma da fuoco israeliani in diverse zone della Striscia di Gaza da giovedì mattina.
Questi attacchi si verificano nel contesto delle catastrofiche condizioni umanitarie nella Striscia di Gaza, conseguenza del genocidio perpetrato da Israele contro i palestinesi dal 7 ottobre 2023.
Secondo fonti mediche e testimoni oculari riferiti a un corrispondente dell'agenzia Anadolu, gli attacchi israeliani hanno preso di mira una scuola che ospitava sfollati, un mercato, alcune abitazioni, beneficiari di aiuti umanitari e raduni di civili, provocando morti e feriti nella Striscia di Gaza settentrionale, centrale e meridionale.
Gaza/Agenzia Anadolu, 25 giugno - Il numero di palestinesi uccisi negli attacchi israeliani in varie zone della Striscia di Gaza dall'alba di mercoledì è salito a 99, compresi i bambini. Questo fa parte dei crimini genocidi che l'esercito commette contro i civili da 21 mesi.
Fonti mediche e testimoni oculari hanno riferito all'agenzia Anadolu che il numero di palestinesi uccisi nei massacri perpetrati dall'esercito israeliano tramite bombardamenti e armi da fuoco in varie parti della Striscia di Gaza è salito da 61 a 99, dopo che 38 persone sono state uccise nelle ultime ore.
Nell'ultimo attacco, fonti mediche hanno riferito che sei palestinesi sono stati uccisi in un bombardamento israeliano che ha preso di mira un'abitazione abitata a sud-ovest della città di Gaza.
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Se si scorrono a ritroso le cronache giorno per giorno, il senso non cambia.
Sono le cronache dello sterminio, prima con le bombe dal cielo, poi con la fame e la sete, poi ancora con le mitragliate contro le folle affamate e disumanizzate, di chi vaga tra le macerie come un cane randagio, di chi non ha nient'altro da perdere per cercare di sopravvivere.
E' la crudeltà della logica di sterminio, in un campo di sterminio gestito dagli israeliani.
E in prima fila, ad essere sterminati, ci sono i bambini e i ragazzi, e questo rende ancora più crudele lo sterminio.
Stralci di una cronaca dello sterminio per fame.
Solo nell'ultimo mese, i massacri israeliani presso i punti di distribuzione alimentare hanno causato la morte di oltre 400 palestinesi.
Nelle prime ore dell'11 giugno, prima dell'alba, il diciannovenne Hatem Shaldan e suo fratello Hamza, di 23 anni, si sono recati ad aspettare i camion degli aiuti umanitari nei pressi del Corridoio di Netzarim, nella Striscia di Gaza centrale. Speravano di tornare con un sacco di farina bianca per la loro famiglia di cinque persone. Invece, Hamza è tornato con il corpo del fratello minore avvolto in un sudario bianco.
La famiglia Shaldan ha vissuto praticamente senza cibo per quasi due mesi a causa del blocco israeliano, stipata in un'aula scolastica trasformata in un rifugio nella parte orientale di Gaza City. La loro casa, un tempo vicina, è stata completamente distrutta da un attacco aereo israeliano nel gennaio 2024.
Verso l'1:30 del mattino, i due fratelli si unirono a decine di palestinesi affamati in via Al-Rashid, lungo la costa, dopo aver sentito che camion carichi di farina sarebbero entrati nella Striscia.
Due ore dopo, udirono grida di "Arrivano i camion!" seguite immediatamente dal rumore dei bombardamenti dell'artiglieria israeliana.
"Non ci importava dei bombardamenti", ha raccontato Hamza a +972 Magazine. "Correvamo semplicemente verso le luci dei camion."
Ma nel caos della folla, i fratelli si sono separati. Hamza è riuscito a prendere un sacco di farina da 25 kg. Quando è tornato al punto d'incontro concordato, Hatem non c'era più.
"Continuavo a chiamarlo al telefono, più e più volte, senza risposta", ha detto Hamza. "Mi si stringeva il cuore. Ho iniziato a vedere cadaveri trasportati verso di me. Mi rifiutavo di credere che mio fratello potesse essere tra loro".
Ore dopo la scomparsa di Hatem, Hamza ha ricevuto una chiamata da un amico: la foto di un corpo non identificato era apparsa nei gruppi WhatsApp locali, scattata all'Ospedale dei Martiri di Al-Aqsa a Deir Al-Balah, nella Striscia di Gaza centrale. Hamza ha mandato un cugino, un autista di tuk-tuk, a controllare. "Mezz'ora dopo, mi ha richiamato, con la voce tremante. Mi ha detto che era Hatem."
Sentendo ciò, Hamza svenne. Quando rinvenne, la gente gli stava versando acqua sul viso. Corse in ospedale, dove un uomo ferito nello stesso attacco di artiglieria spiegò l'accaduto: Hatem e circa altri 15 uomini avevano cercato di nascondersi nell'erba alta quando i carri armati israeliani avevano aperto il fuoco.
"Hatem è stato colpito alle gambe da una scheggia", ha detto l'uomo. "Ha sanguinato per ore. I cani li circondavano. Alla fine, quando sono arrivati altri camion dei soccorsi, alcuni hanno aiutato a spostare i corpi su uno di essi."
In totale, 25 palestinesi furono uccisi quella mattina mentre aspettavano i camion degli aiuti umanitari in via Al-Rashid. Hamza riportò il corpo di Hatem a Gaza City e lo seppellì accanto alla madre, uccisa da un cecchino israeliano nell'agosto del 2024. Il loro fratello maggiore, Khalid, 21 anni, era morto mesi prima, in un attacco aereo di gennaio mentre evacuava i civili feriti sul suo carro trainato da cavalli.
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"Le persone venivano uccise, ma tutti continuavano a correre per procurarsi la farina"
Il giorno dopo il massacro di Al-Rashid Street, costato la vita a Hatem Shaldan, una folla ancora più numerosa si è radunata nello stesso luogo, tra cui il diciassettenne Muhammad Abu Sharia, arrivato con quattro parenti. I pochi camion di aiuti umanitari arrivati quella settimana hanno dato un barlume di speranza alle famiglie affamate.
Abu Sharia vive con la sua famiglia di nove persone nella loro casa parzialmente distrutta nel sud di Gaza City, unico figlio maschio tra sei sorelle. "All'inizio la mia famiglia non voleva che andassi", ha detto. "Ma siamo affamati da due mesi".
Alle 22:00 si è diretto verso Al-Rashid Street, dove la folla si era radunata sulla sabbia vicino alla riva, in attesa dei camion dei soccorsi. La gente si scambiava avvertimenti a bassa voce: "Restate dietro ai camion. Non correte davanti: potreste essere schiacciati".
Abu Sharia rimase scioccato da ciò che vide. "Anziani, donne, bambini, tutti in attesa di un po' di farina". Poi, senza preavviso, i colpi di artiglieria iniziarono a cadere intorno a loro.
Scoppiò il panico. Alcuni fuggirono. Altri, come Abu Sharia, corsero verso i camion. "C'erano persone uccise e ferite, ma nessuno si fermava. Tutti continuavano a correre verso la farina."
Riuscì ad afferrare una borsa che giaceva accanto a un cadavere, ma fece solo pochi metri prima che una banda di quattro uomini armati di coltelli lo circondasse e lo minacciasse di morte se non gliela consegnasse. La lasciò andare.
Sperando ancora di raggiungere un altro camion, aspettò altre ore.
Poi vide gente gridare: "Sono arrivati altri aiuti!". I camion arrivarono, rallentando appena mentre la folla li assaliva.
"Ho visto un uomo cadere sotto un camion e farsi schiacciare la testa".
i. fan.
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Date Created: 27/06/2025 05:49:57