E' passato un anno dal 6 gennaio da incubo a Capitol Hill.
In quel pomeriggio da cani migliaia di attivisti trumpiani si erano radunati davanti al palazzo del Congresso americano. Mancavano pochi giorni all'investitura ufficiale di Joe Biden 46° Presidente degli Stati Uniti d'America. Da due mesi Donald Trump cercava disperatamente di sovvertire il risultato elettorale o quantomeno di bloccare l'iter della nomina di Biden che passava anche da Capitol Hill.
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I manifestanti premono contro le transenne difese da sparute forze di polizia a presidio del Congresso, le travolgono, sfondano il portone e invadono le sale del Potere.
Personaggi pittoreschi come lo sciamano, mischiati a facce dell'America bassa, popolare, arrabbiata, ingozzata di paranoie e notizie artefatte, salgono sulla ribalta mondiale, scrivendo una pagina comunque storica per gli Stati Uniti.
Donald Trump si era asserragliato dentro la Casa Bianca. Venne informato di quanto stava accadendo. I collaboratori più stretti lo avvisarono e gli consigliarono di intervenire per fermare l'assalto rilasciando qualche dichiarazione per placare gli animi e svuotare il palazzo.
Trump taceva e aspettava. Avrebbe rilasciato alcune dichiarazioni e un invito ai suoi sostenitori a sciogliere "pacificamente" l'assalto solo dopo l'arrivo di notizie drammatiche, un poliziotto morto, spari dentro il palazzo, manifestanti uccisi dagli agenti, gli uffici dei deputati devastati.
Agli assalitori Trump dirà "tornate a casa, via amo, siete bravi patrioti"
Quelle ore drammatiche, e tutto quello che le ha precedute e preparate, sono oggetto di investigazioni e ricerche che hanno portato all'arresto di quasi ottocento assalitori, mentre una commissione d'inchiesta parlamentare conduce un lavoro parallelo, anche se boicottato dall'astensione di gran parte dei deputati repubblicani.
Dopo un anno è ancora presto per le commemorazioni del 6 gennaio 2021
Non è ancora tempo di commemorazioni perchè c'è ancora molto da investigare e capire. E soprattutto perchè Donald Trump non è stato ancora direttamente investito dalle indagini ufficiali, anche se per gran parte dell'opinione pubblica americana e mondiale è lui la mente dell'assalto, un tentativo golpista o più realisticamente, la ricerca di una drammatizzazione mal calcolata dallo stesso Trump, che doveva servire a giustificare il rinvio dell'investitura di Biden.
Dopo un anno ci si aspettava che Trump avesse capito la lezione e si facesse da parte, in attesa degli sviluppi delle inchieste e non compromettere la posizione precaria, cercando magari di avviare qualche trattativa segreta e sotterranea con lo schieramento dei democratici per ottenere un salvacondotto.
Nulla di tutto questo. Trump ha ancora un grande ascendente sui membri del partito repubblicano e sulle frange di estremisti di destra, sovranisti, suprematisti e razzisti di varie sfumature.
Partecipa ancora attivamente agli appuntamenti elettorali locali, a sostegno dei candidati a lui graditi, sta allestendo una catena d'informazione, "the Truth" immaginiamo quale, con televisione e social media per sostenere la sua tesi di essere stato derubato del secondo mandato presidenziale, e pensa di potersi costruire un percorso vincente dentro il Great Old Party per ripresentarsi alle elezioni del 2024 in pole position.
L'influente senatore repubblicano Lindsey Graham ha affermato che l'ex presidente Trump avrebbe con ogni probabilità la nomination per le elezioni del 2024 se si candidasse.
"A meno che non ci sia qualche novità che non vedo arrivare, è la sua nomination se lo vuole", ha detto Graham a Fox News "La base repubblicana lo ha apprezzato. Non apprezziamo tutte le cose che fa a volte. Ma da un punto di vista politico, è stato il presidente di maggior successo dal punto di vista dei conservatori dopo Ronald Reagan ".
"Trump sarà alla Casa Bianca nel 2024 se condurrà una campagna disciplinata", ha detto Graham.
Trump ha fissato un comizio in Florida proprio il 6 gennaio, giorno in cui tutta l'America ricorderà la follia di un anno prima e il ruolo avuto dall'allora Presidente. Un comizio per raccontare la sua versione o per ricordare che lui ancora c'è.
Ma poi ha convenuto che quel comizio sarebbe stato una pericolosa ostentazione di cinismo e ha deciso di rinviarlo di qualche giorno. Comunque ha ottenuto quello che voleva, che il giorno di commemorazione dell'assalto al Palazzo si parlasse ancora di lui come futuro soggetto politico.
Donald Trump c'è, l'establishment politico americano invece latita o sguazza nella palude
La forza di Trump, quella che nel 2016 lo ha portato alla Casa Bianca contro ogni pronostico, era in gran parte fondata sulla debolezza degli avversari, dell'establishment politico rappresentato proprio da quelle stanze di Capitol Hill popolate di affaristi, lobbisti, corrotti, carrieristi, guerrafondai, come mai nella storia degli USA.
Le ragioni del successo di Trump purtroppo non sono tramontate dopo la vittoria di Joe Biden.
L'America umiliata in Afghanistan, viene sfidata quotidianamente dalle aspirazioni imperiali cinesi e dal revanchismo russo, la pandemia di covid non è diminuita e dopo Trump si avvia a superare la soglia dei 900 mila morti, l'inflazione brucia i bilanci delle famiglie allargando povertà e diseguaglianze, gli immigrati continuano ad essere respinti ai confini, incendi e alluvioni vengono messi sempre più nel conto delle responsabilità di chi governa.
Molti analisti osservano che il fenomeno sociale sottostante l'ascesa di Trump non è affatto scomparso e non è prevedibile che scompaia prima delle prossime elezioni nel 2024. Ci sarà un test alla fine del 2022 nelle elezioni di midterm e non è improbabile che il partito democratico perda la maggioranza a Capitol Hill.
Ma questo è ancora il tempo delle indagini giudiziarie su chi abbia la responsabilità materiale dell'assalto organizzato il 6 gennaio.
Sembra scontato che da sinistra si indichi in Trump la mente e nei gruppi di estrema destra il braccio delle violenze a Capitol Hill mentre da destra si sostiene la tesi di una manifestazione popolare priva di organizzazione e direzione sfociata solo casualmente nella nera pagina della democrazia americana.
La pista FBI di Glenn Greenwald
Fuori da questi due schemi si colloca la tesi di Glenn Greenwald, famoso giornalista d'inchiesta cresciuto a sinistra e oggi collocato in una posizione critica contro l'establishment del partito democratico.
Secondo Greenwald, intervistato dalla rivista tedesca Cicero, l'assalto a Capitol Hill non può essere classificato come tentativo golpista trumpiano ma fu una manifestazione di protesta degenerata in una clamorosa violenza per una concomitanza di eventi, tra i quali ipotizza anche un ruolo del FBI.
D - In una regolare udienza del Comitato giudiziario permanente alla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, il deputato repubblicano Thomas Massie ha mostrato un video molto importante. In esso si può vedere lo stesso uomo, il cui nome è presumibilmente Ray Epps, mentre chiama i partecipanti alla manifestazione dozzine di volte il 5 e il 6 gennaio per prendere d'assalto il Campidoglio.
In un video lo si vede addirittura nel momento in cui sono state abbattute le prime transenne nell'area transennata davanti al Campidoglio. È come se Massie avesse trovato il capo della rivolta. Tuttavia, Epps non è in nessuna lista di ricercati. Quando Massie si è avvicinato al ministro della giustizia federale Merrick Garland, è scappato. Massie e il giornalista investigativo (ed ex scrittore di discorsi di Trump)Darren Beattie insinuavano che Epps fosse un agente sotto copertura per il governo, un agente provocatore per così dire. Sembra una teoria della cospirazione selvaggia che dovrebbe assolvere Trump da ogni colpa, non è vero?
R - No, se conosci la storia dell'FBI. Ho iniziato il giornalismo politico nel 2005 perché volevo scrivere degli eccessi di potere dell'amministrazione Bush sulla scia della guerra al terrore. Sia sotto Bush che poi Obama, l'FBI ha continuato a sottolineare il pericolo rappresentato dall'estremismo islamista, poiché ha dato all'FBI più soldi e poteri. Quindi ha praticamente inventato i suoi complotti terroristici.
... Il New York Times ha recentemente riferito che durante la rivolta del 6 gennaio, l'FBI stava comunicando con uno dei suoi informatori all'interno della folla. Quindi ciò porta logicamente alla domanda se ci fossero agenti provocatori tra la folla che incitavano altri alla violenza. Potresti chiamarla una teoria della cospirazione selvaggia se l'FBI non avesse la storia precedente. Molti presunti capi del 6 gennaio non sono stati accusati fino ad oggi, mentre tutti i tipi di compagni di viaggio sono esposti a un'azione penale aggressiva. A volte i capibanda sono gli ultimi ad essere processati per farsi strada nelle indagini. Altre volte, invece, rimangono intatti perché hanno lavorato per l'FBI.
D - E Ray Epps avrebbe potuto essere un tale agente sotto copertura?
R - Puoi vederlo sui video, mentre incita la gente a correre in Campidoglio. Inspiegabilmente, non è stato arrestato o accusato. A differenza di altri 600 partecipanti. Questo porta alla domanda perfettamente legittima del motivo per cui qualcuno il cui ruolo è chiaramente registrato in video rimane libero mentre molte persone accusate di crimini molto, molto minori sono state condannate a lunghe pene detentive. Dovrebbe essere indagato. Se il comitato del 6 gennaio fosse davvero interessato a scoprire la verità, andrebbe a fondo. Ma il comitato è di parte, quindi siamo ancora lontani dall'ottenere una risposta a questa domanda.
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Ho l'impessione che Greenwald insegua una pista inutile anche se probabile.
Al di là degli interessi del FBI, l'assalto a Capitol Hill è stato lo sfregio di Trump a quella che già era una barcollante situazione di crisi delle istituzioni politiche e della loro credibilità agli occhi dell'opinione pubblica, anche quella moderata o progressista. Creare caos e discredito era nella mente di Trump l'estremo tentativo per negare la sconfitta e le sue ragioni.
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Molti pensano che Donald Trump abbia ancora un ruolo decisivo sulla scena politica americana e che il suo ascendente sull'apparato repubblicano sia pressochè intatto, garantendogli ottime possibilità di competere nel 2024.
Non credo a questa tesi.
Certo, il biscazziere ha interesse a rimanere a galla, e paradossalmente la commemorazione del 6 gennaio lo tiene ancora sulla scena. I repubblicani hanno interesse a non allontanare la base sociale che ancora si riconosce nell'ex presidente. I democratici hanno interesse ad agitare lo spauracchio di Trump per mobilitare il suo stanco elettorato alle prese con inflazione e pandemia.
Ma al momento opportuno questa convergenza di interessi finirà.
Nel 2024 nè Trump nè Biden.
E allora sì, forse l'America potrà commemorare davvero il 6 gennaio non solo come un pericolo scampato, un complotto fallito, ma la coscienza di una crisi molto più vasta e profonda del sistema.