L'attacco di Israele all'Iran in risposta ai 180 missili lanciati dal regime di Khamenei sulle città israeliane era previsto che fosse sferrato fin dalle prime ore del 2 ottobre .
Una rappresaglia immediata ma studiata fin nei minimi particolari da molto tempo.
I piani dell'IDF per colpire basi e siti strategici, con annessi generali e ufficiali dei Guardiani islamisti, vengono prodotti in gran quantità da almeno 20 anni e potrebbero riempire una biblioteca.
Solo due variabili non possono essere previste con largo anticipo perché sono soggette alle circostanze e alle valutazioni del momento, una politica e l'altra militare.
La variabile politica è legata al via libera dei paesi occidentali, USA ed Europa. Nessuno a Washington, Berlino, Londra o Parigi mette in discussione se Israele abbia il diritto di rispondere ai missili iraniani, ma le divergenze sorgono quando si chiede quale debba essere il livello della risposta.
Per gli USA e ancor più per gli europei, la risposta di Israele dovrebbe essere simbolica, tendendo conto che i missili iraniani non hanno causato gravi danni nè all'esercito nè alla popolazione.
Ma davvero qualcuno pensa che sia possibile chiedere a Netanyahu di rispondere in modo "proporzionato" e simbolico?
La sproporzione è la regola, come dimostrano le distruzioni a Gaza e ora nel Libano.
Joe Biden ha chiesto a Netanyahu di non colpire le raffinerie di petrolio - si teme una crisi petrolifera alla vigilia delle elezioni americane - e nemmeno i siti di sviluppo del programma nucleare. Immagino che la risposta del bullo israeliano sia stata alquanto maleodorante e maleducata.
A Macron che annunciava di sospendere la fornitura di armi a Tel Aviv il bullo ha mandato un "messaggio" facendo saltare in aria la sede della Total a Beirut.
Non c'è alcun dubbio che Netanyahu si senta quanto mai invincibile in questo momento e quindi non accetterà alcuna limitazione alle iniziative che riterrà più opportune.
Il suo obiettivo dichiarato è eliminare Khamenei e tutto il vertice militare iraniano.
Lo ha annunciato e proverà a farlo.
L'altra variabile è la capacità dell'Iran di resistere ad una attacco al cuore del regime, ovvero il timore da parte dell'IDF che per quanto colpito massicciamente l'esercito di Teheran potrebbe essere in grado di scatenare tutto il suo arsenale missilistico contro Israele.
Non 200 bensì 2000 missili impossibili da intercettare tutti, che potrebbero causare un'ecatombe.
Per superare questo timore Netanyahu sta mandando messaggi in diverse direzioni, ed è convinto che il nuovo primo ministro dell'Iran Masoud Pezeshkian, se lasciato in vita, garantirebbe una resa negoziata, magari sull'onda di una sollevazione popolare contro gli Ayatollah.
Questo è il vero motivo del ritardo della risposta israeliana ai missili iraniani. Non la remora di una escalation in tutto il Medio Oriente, perché Israele ritiene di essere in grado di fronteggiarla, bensì la necessità di disattivare politicamente il sistema militare iraniano.
Non essendo possibile distruggerlo interamente in poche ore, l'unico modo per evitare la reazione di migliaia di missili verso Tel Aviv è quello di provocare il collasso del regime, assicurandosi che il successore sia disponibile alla resa.
Se questa ipotesi è vera, si capirà fin dalle prime esplosioni.
Se i missili e gli aerei di Israele saranno diretti ad eliminare fisicamente Khamenei e i suoi generali, allora non ci sarà bisogno di fare ferro e fuoco e i bombardamenti si limiteranno alle strutture militari e ai siti nucleari.
Il governo di Masoud Pezeshkian ha mandato numerosi messaggi sotterranei sia a Washington che a Tel Aviv: l'Iran non vuole un'escalation del conflitto, è disponibile perfino a scaricare quel che resta di Hamas e di Hezbollah, ma chiede la sopravvivenza del regime, cosa che Netanyahu non è disponibile a concedere.
Il criminale ha bisogno di presentarsi come unico, invincibile, vincitore. Sgominare Hamas ed Hezbollah è stato un gioco da ragazzi per l'IDF, incurante delle decine di migliaia di vittime civili. La vera impresa che gli consegnerà la vittoria per i prossimi decenni è la sconfitta totale dell'Iran, ovvero il ritorno degli eredi dello scià in Persia.
Le donne e i giovani che si oppongono, anche a costo della morte, al regime teocratico degli ayatollah non hanno alcuna intenzione di tornare indietro di 50 anni e non hanno bisogno dell'aiuto di Netanyahu per decidere il loro futuro.